#RunDipity

La volta scorsa vi ho parlato della felicità che mi dà la corsa, un momento tutto mio dove lascio fuori ogni cosa. La mia parentesi di serendipità, che mi fa fare nuove scoperte fortunate e impreviste. Serendipity significa infatti, trovare qualcosa di valore e di piacevole mentre non lo si sta cercando. Significa predisporsi a uno stato d’animo, al gusto della sensazione, all’accoglimento della sorpresa. Io tutto questo l’ho trovato nel running e ho così coniato il termine RunDipity!

Essendo solita a fare ricerche, ho scoperto che l’origine del termine serendipity è italiana. Michele Tramezzino scrisse la favola Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo pubblicandola a Venezia nel 1557. La potete leggere qui se volete, è bellissima!

Tramezzino asserisce, nel testo, di aver udito la fiaba da un tal Cristoforo Armeno, il quale a sua volta si ispirava a una fiaba persiana del 1300. Infatti Serendip è il nome persiano dello Sri Lanka (Ceylon). La storia diviene nota attraverso la versione inglese The Three Princes of Serendip. È da questa versione che Horace Walpole ruba e conia il termine serendipity, quando nel 1754 scrive in una lettera a un amico di una “fiaba stupida e fatata” in cui tre principi per caso e sagacità, mentre viaggiavano, scoprono un cammello perduto e altre cose di cui non erano in cerca.

La RunDipity, come la Serendipity, ha come requisiti principali la calma, il silenzio interiore, gli occhi ben aperti, ma non fissi sulla meta, l’intuizione, la saggezza, la predisposizione ad accettare il fatto che in ogni scoperta, come del resto in ogni aspetto della vita reale, deve essere insito qualche elemento di casualità, la scoperta del bello inaspettato, anche nella corsa. Io ho iniziato proprio così: correre per arrivare ad un obiettivo, ma poi ho scoperto che non era solo questo che mi portava a continuare, ma tutto l’insieme di energie e sentimenti positivi che questa mi portava.

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